E di ESG

Esg e PMI: cosa significa la “E” di ESG?

Introduzione: E di ESG

Perché la sostenibilità sia “facile” e visto che siamo all’inizio di questo scambio di informazioni con i lettori, è utile partire dalle “presentazioni”, come si fa quando si conoscono persone nuove.

Iniziamo, quindi, un percorso, che ci porterà a chiarire con linguaggio semplice i concetti base della sostenibilità: come se fossimo in una serie televisiva, il nostro discorso si articolerà a “puntate”.

Vedremo cosa significa ESG ed in particolare E di ESG, quali sono gli obblighi per le PMI e quali iniziative si devono intraprendere e di quali risorse umane (interne) e consulenziali (esterne) sia necessario avvalersi.

E soprattutto quali siano in vantaggi per le imprese, che non sono solo economici e di bilancio, ma anche di collocazione sul mercato, miglioramento del brand.

Importante sarà, sotto questo punto di vista, analizzare quali siano gli interventi necessari per le aziende che esportano all’estero e che prevedono già fin da oggi l’obbligo di rispetto di determinati standard per poter continuare a fornire beni e servizi in paesi dell’Unione e non solo. Si parla del cuore dell’economia italiana, basata molto sull’esportazione, ed è un treno da non perdere, quello della sostenibilità, specialmente quando è resa “facile” come facciamo nel nostro blog.

Partiamo con il chiarire cosa intendiamo per sostenibilità e cosa significa l’acronimo in lingua inglese, che la identifica nei suoi tre grandi “pilastri”. L’acronimo di cui tutti parlano è “ESG”, che sta per Environmental, Social, Governance.

In questa prima chiacchierata, parleremo della “E di ESG”, Environmental, ambientale.

La “E” fa – intuitivamente – riferimento a tutte le tematiche relative all’ambiente, di cui la comunità scientifica, politica ed economica discute da anni, stabilendo che faro dell’attività d’impresa deve essere il perseguimento di un’economia ecologica.

Questo non per “buonismo” né per “moda”: è che si è determinato e sta proseguendo un cambiamento quasi antropologico nel modo di intendere la produzione, il fare impresa e profitto.

Se si perde questa che è una grande occasione di sviluppo e ammodernamento e non si comprende quale sia la direzione giusta da intraprendere, semplicemente si verrà sbalzati via dal treno in corsa.

L’attenzione alle tematiche ambientali, tuttavia, non significa limitarsi a comportarsi in modo conforme alle normative ambientali: acquisire le dovute autorizzazioni, evitare le sanzioni, fare attenzione alle diverse tematiche dell’inquinamento ambientale.

La “compliance” rispetto alle norme ambientali vigenti, è solo il punto di partenza: il “goal” da perseguire è sviluppare la propria azienda in modo sostenibile, cioè che soddisfi i bisogni collettivi e individuali, senza compromettere la possibilità per le generazioni future di soddisfare a propria volta i propri bisogni.

Bella frase? È “di sinistra” (vade retro satana!)? Qui non si tratta di sinistra o destra, ma di un’evoluzione del pensiero economico e delle scelte politiche ai massimi livelli.

Il loro scopo è quello di sviluppare l’economia, adottandola alle necessità dell’oggi, tra cui anche quella di mitigare il cambiamento climatico, per quanto dipende dalle scelte umane.

L’azienda può e deve farlo assumendo scelte strategiche e realizzando concrete azioni di mitigazione e di adattamento degli impatti ambientali della propria attività produttiva di beni e servizi.

Quindi cosa fare?

Ma un semplice aggiustamento qua e là non è sufficiente ed è anche un errore di prospettiva strategica: occorre un cambio di passo e molti lo hanno già fatto, lo stanno facendo e praticamente tutti gli operatori economici saranno obbligati a farlo in tempi brevissimi.

E’ un cambio epocale, in cui lo sviluppo economico si “sposa” con la effettiva salvaguardia e tutela dell’ambiente, del benessere dell’uomo e del lavoratore che all’interno di quell’ambiente vive e lavora.

Come vedremo proseguendo la nostra “serie”, la “E” di ESG è solo uno degli elementi per perseguire la sostenibilità.

La c.d. Agenda 2030, programma di azione delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea, si fonda su 5 pilastri cardine: i 5P dello sviluppo sostenibile (People, Planet, Prosperity, Peace, Partnership), per realizzare i quali sono stati fissati 17 “Sustainable Development Goals” (SDG).

Sembra complicato e lo è, ma ogni azienda può individuare – in relazione alla propria attività e organizzazione – quali obiettivi siano effettivamente raggiungibili e su quello costruire una strategia.

E’ importante sottolineare che il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità, anche per quanto riguarda la “E” di Environment, possono e devono essere misurati e quantificati economicamente e costituire parte integrante del bilancio della società.

Con il che si comprende come la sostenibilità sia quanto di meno astratto si possa immaginare.

La misurazione e la quantificazione dei risultati sulla base degli investimenti posti in essere, avviene con riferimento a indicatori, che sono tra loro “integrati e indivisibili e bilanciano le tre dimensioni di sviluppo sostenibile: economico, sociale e ambientale”.

Quanto ai fattori ambientali, uno degli esempi più utilizzati e a cui le aziende danno grande rilievo anche nel promuovere i propri prodotti, è quello relativo alla misurazione e quantificazione dell’impronta di carbonio, il “carbon foot print”.

Tale elemento che viene resa nota all’interno e all’esterno dell’azienda, è strettamente con la misurazione della quantità di emissioni di gas climalteranti, che vengano causati da un’attività economica, direttamente o indirettamente.

Per entrare ancora più nel concreto, facciamo riferimento alla classificazione da parte della Comunità Europea (2020) delle attività, che possono considerarsi sostenibili.

Tassonomia

Si parla della c.d. Tassonomia UE, con cui la Comunità ha fissato gli obiettivi ambientali delle imprese sostenibili.

Si tratta di

  • Mitigazione e adattamento rispetto al cambiamento climatico
  • Uso sostenibile e protezione delle risorse idriche e marine
  • Iniziative volte al raggiungimento di un’economia circolare, tramite la riduzione e il riciclo dei rifiuti
  • Prevenzione e controllo dell’inquinamento (il che comporta un atteggiamento proattivo rispetto ai settori oggetto di autorizzazione amministrativa: non è più sufficiente rispettarle, occorre andare oltre, come talvolta viene richiesto nelle prescrizioni autorizzative dagli enti pubblici).
  • Protezione della biodiversità e della salute degli ecosistemi

Il raggiungimento di tali obiettivi hanno già un impatto economico sulle aziende, in quanto vengono presi in seria considerazione dagli istituti bancari e finanziari per attribuire il rating ESG, che influisce sulla finanziabilità o meno delle imprese.

Esempi di sostenibilità ambientale (E di ESG), che sono sempre più diffusi, sono:

  • l’adozione di tecnologie avanzate per realizzare un’economia circolare
  • interventi per la conservazione e tutela del territorio e della biodiversità
  • uso efficiente delle risorse energetiche, dell’acqua (riutilizzo nel ciclo produttivo, interventi finalizzati a evitarne la dispersione), delle fonti di calore o raffrescamento, tramite l’utilizzo di fonti di energia rinnovabile (per esempio attraverso la costituzione o partecipazione a una Comunità Energetica Rinnovabile, CER)
  • nel settore agro-alimentare, elaborazione di modelli di produzione e di consumo sostenibili
  • riciclo e gestione ottimale dei rifiuti, con particolare riguardo alla plastica
  • ricerca e sviluppo di tecnologie innovative di tutela dell’ambiente
  • scelta di alternative green per la mobilità pubblica e anche privata (rinnovo del parco macchine aziendali, per esempio).

Gli investimenti per realizzare tali interventi, che riguardano tutti la “E” di Environment, su cui oggi siamo focalizzati, sono considerati investimenti sostenibili, in quanto contribuiscono appunto a un obiettivo ambientale.

Naturalmente tali investimenti, nel raggiungere un “goal” non devono arrecare alcun danno significativo ad altro obiettivo ambientale.

Inoltre, l’impresa che benefici di eventuali finanziamenti per realizzare tali interventi, è tenuta a seguire una prassi aziendale di buona governance. Ma di questo parleremo in una prossima “puntata” e non si deve spoilerare.

Greenwashing

Per concludere, attenti al “greenwashing”: vi sono aziende che affermano di essere sostenibili senza esserlo. Purtroppo, tale comportamento riguarda circa la metà delle comunicazioni delle aziende: numerose campagne di comunicazione sul mercato si sono rivelate non veritiere.

E, anche in questo caso, non si tratta di farne una questione “morale”, bensì di corretta e seria collocazione sul mercato, tutela dell’immagine e del brand aziendale con comunicazioni efficaci e che non si rivelino false o mistificanti.

Tanto più che il greenwashing espone l’impresa a richieste risarcitorie da parte della clientela, che si stanno diffondendo sempre di più, oltre che al rischio di sanzioni pecuniarie da parte dell’Autorità Garante della concorrenza e del Mercato e dell’API.

Non basta affermare che il proprio prodotto è verde, amico della natura, rispettoso dell’ambiente, con carbon foot print neutra o biodegradabile.

Occorre che alla comunicazione corrisponda una realtà effettiva, in quanto l’impatto sociale della comunicazione non fa sconti a nessuno: le informazioni devono essere comprensibili, trasparenti e verificabili.

Sarà, quindi, necessario spiegare pubblicamente l’impatto climatico della propria attività, informando correttamente i clienti, gli stakeholders, i dipendenti, anche per evitare il contenzioso ESG, che sta prendendo sempre più piede con richieste di risarcimento danni, che possono anche essere rilevanti.

La prossima volta ci occuperemo della “S” di ESG, che sta per Sustainability, sostenibilità: vedremo nel dettaglio cosa significhi e cosa comporta.

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